LA RESPONSABILITA’ PER LITE TEMERARIA NEI PROCEDIMENTI CIVILI

Esperire un’azione legale, anche la più infondata, è sempre possibile oppure il nostro Legislatore pone dei limiti e mette in campo degli strumenti volti a scoraggiare anche i più “guerrafondai”? Come noto, il nostro Ordinamento prevede numerosi istituiti volti non solo a deflazionare il grande carico che obera i nostri Palazzi di Giustizia, quali i procedimenti stragiudiziali (mediazione civile, negoziazione assistita) obbligatori prima di adire il Tribunale, ma anche a punire l’abuso del processo, tra cui, per esempio, il c.d. “filtro in appello” di cui all’art. 348-ter c.p.c., la possibilità per il Giudice ex art. 92 c.p.c. di porre le spese di lite a carico della parte, seppur vittoriosa, che abbia trasgredito al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c..

La strumento “per eccellenza” a disposizione dell’Autorità giudiziaria ai fini di scoraggiare e punire l’abuso del processo è, però, quello previsto dall’art. 96 c.p.c. in tema di “responsabilità aggravata” che, in breve, stabilisce la condanna al risarcimento del danno a carico di chi abbia intrapreso una lite temeraria. Più nel dettaglio, tale norma è composta di tre commi, il primo dei quali prevede che il giudice condanna la parte soccombente la quale abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, su istanza dell'altra parte, al risarcimento dei danni liquidati in sentenza anche d'ufficio. La condanna per responsabilità aggravata o lite temeraria che dir si voglia presuppone, dunque: i) un requisito oggettivo costituito dalla totale soccombenza di una parte, con la conseguente condanna alle spese; ii) un requisito soggettivo costituito dalla mala fede o colpa grave del soccombente; iii) il verificarsi di un conseguente danno a carico della parte vittoriosa.

Il secondo comma attiene ad alcuni particolari tipi di procedimenti (cautelari, esecutivi, etc.) mentre il terzo, quello di più recente introduzione (nel 2009), prevede che: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”, prescindendo, quindi, da qualsivoglia istanza di parte ed onere probatorio circa l’entità del danno.

In concreto, il risarcimento del danno ex at. 96 c.p.c. può essere comminato, a titolo esemplificativo, in caso di: - manifesta infondatezza dei motivi di azione o resistenza in giudizio; - abuso dello strumento processuale desumibile dal comportamento assunto in giudizio oppure dall’utilizzo delle azioni giudiziali a scopo vessatorio nei confronti della controparte; - manifesto disinteresse nei confronti di una vertenza a seguito della sua instaurazione.

L’importo liquidato dal giudice a tale titolo potrebbe essere anche molto cospicuo, con la conseguenza che la decisione di intraprendere o costituirsi in un giudizio non deve essere presa a “cuor leggero” ma approfondita e studiata adeguatamente.

 

© Studio Legale Basilico Venturini | 14 Apr, 2020